Categoria: figure della sicurezza

  • Preposto alla sicurezza: chi è davvero, cosa rischia e perché non puoi far finta di niente

    Preposto alla sicurezza: chi è davvero, cosa rischia e perché non puoi far finta di niente

    Negli ultimi anni la figura del preposto alla sicurezza è tornata al centro dell’attenzione: il D.Lgs. 81/08 ne ha chiarito meglio l’obbligo di individuazione, si parla sempre più di vigilanza operativa e sentenze e linee guida ricordano che non si tratta di un ruolo “di facciata”, ma di una figura chiave per l’organizzazione della sicurezza sul lavoro.

    Nella pratica, però, in molte PMI il quadro è ancora confuso:

    • nessuno è formalmente nominato, ma capi squadra e capi reparto si comportano come preposti di fatto;
    • il datore di lavoro dà per scontato che “alla fine sono tutti responsabili di se stessi”;
    • nel caso di lavoratori in solitaria capita di sentir dire che il singolo è “preposto di se stesso”.

    Il risultato è un sistema in cui i ruoli non sono chiari, le responsabilità non sono davvero condivise e, in caso di problemi, il peso ricade comunque sull’azienda e sul datore di lavoro.

    In questo articolo proviamo a fare chiarezza su tre aspetti fondamentali:

    • chi è il preposto secondo il D.Lgs. 81/08,
    • cosa significa concretamente preposto di fatto,
    • perché l’idea di “preposto di se stesso” è una scorciatoia fuorviante, soprattutto nel lavoro in solitario.

    Chiudiamo con uno schema pratico che ti aiuta a mettere ordine sul tema preposti nella tua azienda in un orizzonte di 30–60 giorni.

    1. Chi è il preposto secondo il D.Lgs. 81/08
    2. Perché oggi il preposto è diventato centrale nella sicurezza sul lavoro
      1. Individuare i preposti prima di nominarli: l’ordine giusto
    3. Preposto di fatto: cosa dice il D.Lgs. 81/08 e cosa comporta per l’azienda
    4. Il mito del “preposto di se stesso” e il lavoratore in solitario
      1. Misure pratiche per evitare (o gestire davvero) il lavoro in solitario
        1. 1. Evitare il lavoro in solitaria quando non è compatibile con la sicurezza
        2. 2. Rendere il lavoro in solitario più sicuro e conforme
    5. Errori tipici delle PMI sul tema preposti
    6. Come mettere ordine su preposti in 3 semplici passaggi
      1. Step 1 – Mappare chi comanda davvero (non solo sulla carta)
      2. Step 2 – Decidere chi sono i preposti “di diritto”
      3. Step 3 – Atti, formazione e strumenti minimi
    7. Quando ha senso farsi aiutare da fuori
      1. Gap Analysis
    8. Vuoi capire se i tuoi preposti sono davvero “coperti” o solo sulla carta?
      1. Cosa puoi fare subito

    Chi è il preposto secondo il D.Lgs. 81/08

    Il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08) individua il preposto come la figura che, per competenze ed effettiva posizione nell’organizzazione, sovrintende all’attività dei lavoratori e vigila sull’applicazione delle misure di sicurezza decise dal datore di lavoro.
    Non è un ruolo teorico: il preposto è vicino alle persone e ai processi, vede cosa succede ogni giorno in reparto o in cantiere e ha il compito di intervenire quando qualcosa non va.

    In pratica, il preposto alla sicurezza è quel capo squadra, capo reparto, capo turno o capo cantiere che:

    • organizza il lavoro operativo,
    • controlla che le istruzioni vengano rispettate,
    • segnala problemi e situazioni di rischio,
    • fa da collegamento tra lavoratori, datore di lavoro, dirigente e HSE.

    L’art. 19 del D.Lgs. 81/08 elenca una serie di obblighi specifici a suo carico. Tra i più importanti:

    • sovrintendere e vigilare sull’osservanza delle norme di sicurezza e delle procedure aziendali;
    • intervenire immediatamente in caso di comportamenti non sicuri, anche fermando l’attività se necessario;
    • segnalare senza ritardo al datore di lavoro o al dirigente qualsiasi condizione di pericolo, guasto, carenza di mezzi o DPI;
    • verificare che accedano alle aree a rischio solo lavoratori formati e autorizzati;
    • informare e richiamare i lavoratori sui rischi presenti e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare;
    • partecipare ai corsi di formazione e aggiornamento specifici per preposti, così da mantenere nel tempo le competenze richieste dal ruolo.

    Il preposto, quindi, non è un semplice “capo operativo” né un “mini-datore di lavoro”:
    si colloca in mezzo, con una funzione di vigilanza quotidiana e di raccordo tra decisioni aziendali e realtà del lavoro. Proprio per questo la legge gli attribuisce obblighi precisi e responsabilità anche penali, che richiedono consapevolezza, formazione mirata e un inquadramento chiaro all’interno dell’organigramma della sicurezza.

    Perché oggi il preposto è diventato centrale nella sicurezza sul lavoro

    Negli ultimi anni le modifiche al Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs. 81/08) e le indicazioni interpretative che ne sono seguite hanno reso il tema preposto ancora più centrale. Il legislatore ha chiarito alcuni punti chiave che le aziende non possono più permettersi di trattare in modo informale o “di buon senso”:

    • il datore di lavoro ha l’obbligo di individuare i preposti in modo esplicito, con una scelta consapevole e documentata;
    • viene rafforzato il ruolo di vigilanza attiva: al preposto non si chiede solo di “dare un’occhiata”, ma di intervenire concretamente, anche fermando le attività non sicure;
    • aumenta l’attenzione su formazione e aggiornamento specifici per i preposti, con percorsi dedicati diversi da quelli dei lavoratori;
    • si pone un forte focus sui preposti di fatto: chi, anche senza nomina formale, esercita poteri di coordinamento e vigilanza può essere considerato a tutti gli effetti un preposto e risponderne.

    Per una PMI impiantistica o manifatturiera questo è un terreno delicato. Nella pratica, infatti:

    • i ruoli sono spesso fluidi: il caposquadra che decide cosa si fa in cantiere, il referente di produzione che organizza turni e priorità, il tecnico esperto a cui tutti si rivolgono… di fatto sono figure di coordinamento, anche se in organigramma non c’è scritto “preposto”;
    • la reazione istintiva può essere: “nominiamo tutti preposti e siamo a posto” → in realtà così si annacqua il ruolo, si creano sovrapposizioni e si perdono di vista responsabilità e perimetri;
    • all’estremo opposto, non nominare nessuno non mette al riparo: in caso di infortunio o controllo, viene comunque analizzato chi, nei fatti, coordinava e vigilava sul lavoro.

    Il messaggio di fondo è chiaro: oggi non basta più sperare che la struttura “regga da sola”.
    Serve chiarire chi sono i preposti, quali poteri hanno, come vengono formati e come svolgono la vigilanza, tenendo conto sia dell’organigramma formale sia di come l’azienda funziona davvero tutti i giorni.

    Individuare i preposti prima di nominarli: l’ordine giusto

    Per una il punto non è solo “fare i corsi per preposti”, ma capire prima chi sono davvero i preposti dentro l’organizzazione.

    L’ordine corretto è questo:

    1. Prima si legge la struttura reale
      Si parte dalla realtà operativa, non dai titoli sulle carte:
      • chi coordina le squadre in cantiere,
      • chi organizza turni e attività in reparto,
      • chi decide cosa si fa, in che modo e con quali priorità.
      In pratica, si individuano le persone che hanno un potere effettivo di coordinamento e vigilanza sul lavoro degli altri.
    2. Poi si decide chi sono i preposti da designare
      Su queste figure si fa una scelta consapevole:
      • si definisce il loro perimetro (reparto, cantiere, linea, turno),
      • si chiarisce a chi riportano (datore, dirigente, HSE),
      • si specificano in modo chiaro gli obblighi e le responsabilità che assumono come preposti.
    3. Solo dopo arrivano nomina formale e formazione da preposto
      L’atto di designazione e la formazione specifica per preposti hanno senso se arrivano a valle di questa analisi, non come punto di partenza.

    Il contrario – mandare a caso alcune persone a un corso e chiamarle preposti solo perché hanno l’attestato – non funziona!
    significa creare preposti solo sulla carta, mentre la vigilanza operativa continua a essere svolta da altri, spesso non nominati, non formati e non consapevoli del ruolo.

    L’obiettivo, oggi, non è “avere più attestati possibile”, ma avere preposti ben individuati, consapevoli del proprio ruolo e messi nelle condizioni di esercitare davvero la vigilanza sulla sicurezza.

    Preposto di fatto: cosa dice il D.Lgs. 81/08 e cosa comporta per l’azienda

    Oltre al preposto “ufficiale”, individuato e nominato dal datore di lavoro, il Testo Unico sulla sicurezza considera anche il cosiddetto preposto di fatto.
    L’art. 299 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che le posizioni di garanzia previste per datore di lavoro, dirigenti e preposti gravano anche su chi, pur senza una formale investitura, esercita di fatto i poteri giuridici tipici di quelle figure.

    In termini operativi, è preposto di fatto chi:

    • coordina stabilmente il lavoro di altri,
    • impartisce istruzioni su “cosa” e “come” fare,
    • controlla l’esecuzione delle attività,
    • interviene (o dovrebbe intervenire) sui comportamenti non sicuri,

    anche se sul contratto di lavoro non è scritto “preposto” e non esiste una lettera di designazione.

    Questo ha una conseguenza importante per il datore di lavoro:

    se in azienda ci sono persone che si comportano come preposti, queste persone vengono comunque considerate tali ai fini della responsabilità.

    Quindi non basta dire “non l’avevo nominato”: se di fatto organizza e vigila sul lavoro, risponde come preposto e l’azienda si troverà a giustificare perché:

    • non lo ha individuato in modo consapevole,
    • non lo ha nominato formalmente con un atto chiaro,
    • non lo ha formato come preposto, con il percorso specifico previsto dall’art. 37.

    Per una PMI questo significa che il passaggio logico è obbligato:

    1. riconoscere chi, oggi, sta già svolgendo un ruolo di coordinamento e vigilanza (preposti di fatto);
    2. decidere chi di loro deve diventare preposto “di diritto”, con un perimetro preciso di responsabilità;
    3. procedere con designazione formale e formazione specifica per preposti.

    Ignorare i preposti di fatto non elimina il problema, lo aggrava:
    hai persone che portano già addosso responsabilità da preposto, ma senza strumenti, senza consapevolezza e senza un inquadramento chiaro nel sistema di prevenzione aziendale.

    Il mito del “preposto di se stesso” e il lavoratore in solitario

    L’espressione “preposto di se stesso” gira parecchio, soprattutto in due situazioni tipiche:

    • micro-aziende dove ognuno segue in autonomia la propria attività;
    • contesti di lavoro in solitario: turni notturni, manutenzioni isolate, tecnici che operano da soli presso il cliente.

    Suona comoda, ma ha un problema serio:
    dal punto di vista giuridico, il “preposto di se stesso” non esiste nel D.Lgs. 81/08.

    Il lavoratore che opera da solo resta comunque un lavoratore con gli obblighi dell’art. 20,
    e il datore di lavoro mantiene per intero i propri obblighi di organizzazione e vigilanza: valutare i rischi, predisporre misure, definire ruoli e responsabilità, mettere le persone in condizione di lavorare in sicurezza.

    Per il lavoro in solitario, normativa e buone prassi puntano l’attenzione su alcuni elementi chiave:

    • una valutazione specifica dei rischi legati all’isolamento (tempi di soccorso, natura dell’attività, contesto, orario);
    • procedure dedicate che definiscano:
      • come e quando il lavoratore deve comunicare con l’azienda,
      • chi è il referente/preposto che lo segue,
      • cosa succede in caso di mancato contatto;
    • eventuali dispositivi di allarme e comunicazione (telefoni, dispositivi uomo a terra, sistemi di tracking, pulsanti di emergenza, ecc.);
    • formazione e istruzioni specifiche su come operare da soli, come gestire le emergenze, cosa non fare in assenza di supporto.

    Dire “è preposto di se stesso”, nella pratica, spesso significa solo scaricare vigilanza e responsabilità sul lavoratore, senza aver:

    • definito chi lo controlla (datore, dirigente, preposto di riferimento);
    • stabilito come e quando avvengono le verifiche;
    • predisposto misure adeguate per ridurre gli extra-rischi legati all’isolamento.

    Se nella tua azienda hai:

    • addetti che fanno turni notturni soli in impianto,
    • manutentori che vanno in autonomia in siti del cliente,
    • tecnici che svolgono attività critiche senza squadra,

    non è sufficiente dire “si controllano da soli”: devi poter dimostrare che la vigilanza è stata organizzata e che l’azienda ha fatto la sua parte.

    Misure pratiche per evitare (o gestire davvero) il lavoro in solitario

    Su questo punto puoi lavorare in modo molto concreto, su due livelli:

    1. Evitare il lavoro in solitaria quando non è compatibile con la sicurezza

    In alcuni casi, la scelta più coerente con la valutazione dei rischi è non lavorare da soli, ad esempio:

    • attività in spazi confinati o sospetti di inquinamento;
    • lavori con rischi elettrici elevati, in alta tensione o su impianti complessi;
    • interventi con utilizzo di sostanze pericolose con rischi acuti;
    • lavorazioni in quota con caduta potenzialmente grave;
    • attività dove un malore o un infortunio renderebbero impossibile chiamare aiuto.

    In questi casi puoi mettere in campo misure come:

    • presenza di una seconda persona (team di almeno due addetti);
    • definizione di finestre orarie in cui certe attività non si svolgono mai da soli;
    • programmazione delle attività critiche in orari in cui è garantito un supporto immediato (es. presenza HSE, squadra di emergenza).

    2. Rendere il lavoro in solitario più sicuro e conforme

    Dove, per ragioni organizzative o di processo, il lavoro in solitario resta necessario, puoi lavorare su:

    • Organizzazione e procedure
      • definire per iscritto quando è ammesso lavorare da soli e quando no;
      • stabilire un sistema di check-in/check-out (es. chiamate periodiche, messaggi su sistema aziendale, app dedicata);
      • indicare chiaramente chi è il referente/preposto che ha la responsabilità di vigilare su quell’attività.
    • Strumenti e tecnologia
      • dotare il lavoratore di telefono aziendale o altro mezzo di comunicazione sempre disponibile;
      • usare dispositivi uomo a terra, pulsanti di emergenza, sistemi di allarme portatili dove il rischio lo giustifica;
      • predisporre registri o app per tracciare l’inizio e la fine delle attività in solitaria, con posizione e tipo di lavoro svolto.
    • Formazione mirata
      • formare il lavoratore sui rischi specifici dell’isolamento (tempi di soccorso, impossibilità di chiedere aiuto, ecc.);
      • addestrarlo sulle procedure di emergenza: cosa fare, chi chiamare, cosa non tentare da solo;
      • chiarire i limiti operativi: quali attività possono sospendere se non si sentono sicuri.
    • Ruolo del preposto e della linea
      • individuare sempre un preposto di riferimento anche per chi lavora da solo (anche se non è fisicamente presente);
      • definire come il preposto deve vigilare a distanza (es. chiamate programmate, verifiche documentate, eventuali sopralluoghi);
      • responsabilizzare la linea gerarchica su eventuali deroghe non autorizzate (es. tecnico che rimane da solo su attività vietate in solitario).

    Il problema quindi non si risolve con una frase (“è preposto di se stesso”), ma con scelte organizzative, procedure chiare e strumenti adeguati.
    Così puoi dimostrare che il lavoro in solitario, dove esiste, non è frutto del caso, ma di una valutazione consapevole e di una vigilanza organizzata.

    Errori tipici delle PMI sul tema preposti

    Quando si entra nel concreto di preposti e sicurezza sul lavoro nelle PMI, soprattutto impiantistiche e manifatturiere, emergono sempre gli stessi nodi. Non sono dettagli teorici: sono esattamente le situazioni che poi riemergono in caso di infortunio, ispezione o contestazione da parte del cliente.

    Vediamoli uno per uno.

    1. Nessuna mappatura dei ruoli reali

    Sulla carta c’è un organigramma ordinato; nella realtà, in cantiere o in reparto, le decisioni le prendono altre persone.
    Si guarda solo il ruolo contrattuale o la qualifica, ma non chi decide davvero cosa succede ogni giorno: chi organizza le squadre, chi sposta le priorità, chi dice “si fa così”.
    Senza questa mappatura, è impossibile individuare correttamente i preposti.

    2. Nomine a pioggia “per mettersi al sicuro”

    Per paura di lasciare scoperti dei pezzi, a volte si finisce per nominare preposti tutti i capi: caposquadra, caporeparto, responsabile di linea, referente tecnico… anche quando non hanno veri poteri di coordinamento o di fermo attività.
    Risultato: il ruolo di preposto si annacqua, le responsabilità si sovrappongono e non è più chiaro chi deve vigilare su cosa.

    3. Preposti di fatto ignorati

    In tante PMI ci sono figure che, di fatto, coordinano il lavoro e la sicurezza: organizzano gli interventi, danno indicazioni operative, decidono come gestire situazioni critiche.
    Però non sono designati come preposti, non hanno formazione specifica, non sanno nemmeno quali obblighi la legge attribuisce a chi svolge quel ruolo.
    Sono preposti di fatto non riconosciuti, e questo crea un doppio problema:
    – per loro, che si trovano addosso responsabilità non dichiarate;
    – per l’azienda, che non può dimostrare di averli individuati, nominati e formati in modo consapevole.

    4. Formazione dei preposti trattata come una formalità

    Altro errore frequente: la formazione per preposti viene vissuta come un “corso in più da fare per obbligo”, spesso copia-incolla dei corsi base.
    Manca il focus reale su:

    • vigilanza quotidiana,
    • gestione dei comportamenti non sicuri,
    • capacità e responsabilità di fermare un’attività quando non ci sono le condizioni,
    • relazione tra preposto, datore di lavoro, dirigente e RSPP.

    Così il preposto esce dal corso con un attestato, ma senza strumenti pratici per esercitare il proprio ruolo.

    5. Lavoro in solitario gestito “per abitudine”

    Infine, il lavoro in solitaria viene spesso gestito in modo informale:
    si fa perché “si è sempre fatto così” e ci si affida all’esperienza del singolo. Non ci sono procedure chiare, non c’è una valutazione specifica dei rischi, non si definiscono modalità di contatto e di controllo.
    In questi casi, la frase che salta fuori è quasi sempre la stessa: “tanto è preposto di se stesso”.
    Ma questo, come visto, non esiste nel D.Lgs. 81/08: è solo un modo per scaricare sul lavoratore ciò che dovrebbe essere organizzato a livello aziendale.

    Questi errori, presi uno a uno, possono sembrare “gestibili”.
    Insieme, però, raccontano un quadro preciso: un sistema in cui ruoli, responsabilità e vigilanza sui preposti non sono stati davvero progettati, ma lasciati crescere per abitudine.
    Ed è proprio in queste situazioni che, di fronte a un infortunio o a un controllo, emergono tutte le fragilità che si potevano gestire prima con un lavoro mirato su mappatura, designazione e formazione dei preposti.

    Come mettere ordine su preposti in 3 semplici passaggi

    Per una PMI impiantistica o manifatturiera non serve un progetto infinito per sistemare il tema dei preposti e del lavoro in solitario.
    Serve un percorso chiaro, concreto e gestibile in 30–60 giorni, con alcuni passaggi ben fatti.

    Di seguito ti propongo 3 step che puoi applicare subito.

    Step 1 – Mappare chi comanda davvero (non solo sulla carta)

    Il punto di partenza non è l’organigramma “ufficiale”, ma come funziona davvero l’azienda ogni giorno.

    Parti da:

    • reparti produttivi,
    • cantieri e squadre operative,
    • turni e linee di lavoro.

    Per ogni area chiediti in modo molto pratico:

    “Chi decide cosa si fa, come si fa e chi lo fa?”

    Non guardare solo il ruolo in busta paga, ma:

    • chi organizza il lavoro degli altri,
    • chi dà indicazioni operative,
    • chi viene cercato quando c’è un problema.

    L’elenco di queste persone è la base dei tuoi potenziali preposti, sia di diritto sia di fatto.
    Senza questa mappatura iniziale, rischi di nominare preposti “a caso” e di lasciare scoperti proprio quelli che, nella realtà, svolgono già una funzione di sovrintendenza e vigilanza.

    Step 2 – Decidere chi sono i preposti “di diritto”

    Una volta individuate le figure chiave, devi fare una scelta: chi vuoi che sia formalmente preposto per ciascuna area.

    Qui l’idea è:

    • selezionare solo chi ha davvero potere di organizzare e vigilare;
    • evitare di nominare preposti persone che, nei fatti, non possono incidere su come si lavora.

    Per ogni preposto definisci in modo chiaro:

    • Perimetro di responsabilità
      • reparto, cantiere, linea, squadra, turno;
    • Linea di riporto
      • a chi risponde: datore di lavoro, dirigente, HSE, responsabile di produzione;
    • Aspettative sul ruolo
      • che tipo di vigilanza deve esercitare,
      • che tipo di segnalazioni deve fare (non conformità, near miss, carenze DPI, ecc.),
      • come deve gestire comportamenti non sicuri e situazioni di pericolo.

    Questa chiarezza iniziale ti evita di avere preposti “nominali” che non sanno esattamente qual è il loro territorio e cosa ci si aspetta da loro.

    Step 3 – Atti, formazione e strumenti minimi

    Dopo aver deciso chi sono i tuoi preposti, si passa alla parte formale e operativa.

    • Lettere di designazione
      Predisponi lettere di designazione chiare, non modelli generici.
      Devono indicare:
      • perimetro (dove e su chi esercitano la vigilanza),
      • principali obblighi,
      • collegamento con il sistema di prevenzione (datore, dirigente, RSPP, HSE).
    • Formazione specifica per preposti
      Verifica che ciascun preposto:
      • abbia svolto la formazione prevista dalla legge (modulo specifico per preposti + aggiornamento periodico),
      • conosca i propri obblighi e il proprio margine di intervento (anche il potere/dovere di fermare un’attività non sicura).
    • Strumenti minimi per vigilare davvero
      Definisci in modo semplice ma concreto:
      • come devono vigilare (es. giri periodici, controlli mirati, check-list essenziali);
      • come devono segnalare problemi (modulo, app, mail, canale dedicato);
      • quando possono o devono fermare un’attività in autonomia
        e quando è obbligatorio coinvolgere subito superiore, HSE o datore di lavoro.

    L’obiettivo è che il preposto non sia solo una nomina ma una figura attrezzata per svolgere la propria funzione di vigilanza sulla sicurezza sul lavoro.

    Quando ha senso farsi aiutare da fuori

    Su preposti e lavoratori in solitario puoi fare molto all’interno.
    Ma ci sono situazioni in cui un supporto esterno HSE ti fa risparmiare tempo, margine di errore e discussioni infinite.

    Ha senso chiedere una mano quando:

    • non hai mai mappato seriamente i preposti, né di diritto né di fatto;
    • non sei sicuro di come gestire il lavoro in solitario e finora ti sei affidato solo all’esperienza dei singoli;
    • in ispezioni, audit cliente o verifiche interne è già emerso il tema “preposti”, magari con richiami o osservazioni;
    • hai preposti nominati sulla carta, ma non sai quanto siano davvero consapevoli del ruolo e delle responsabilità.

    In questi casi si può lavorare con un intervento mirato su preposti e ruoli HSE, ad esempio con un:

    Audit preposti e ruoli HSE in azienda, che includa:

    • analisi dell’organigramma formale e di come funziona davvero l’azienda;
    • individuazione dei preposti di diritto e di fatto;
    • verifica delle lettere di designazione e della formazione specifica per preposti;
    • analisi delle situazioni di lavoro in solitario e delle misure oggi in campo;
    • proposta di un piano di adeguamento semplice, con priorità e azioni in un orizzonte 30–60 giorni.

    Questo tipo di lavoro può essere:

    • un modulo specifico focalizzato solo su preposti;
    • oppure parte di un Audit HSE più ampio, quando vuoi rivedere l’intero sistema di sicurezza sul lavoro.

    Gap Analysis

    TemaProblema tipicoCosa fare subitoOutput atteso
    Individuazione prepostiNessuna mappatura dei ruoli reali; preposti solo “sulla carta”.Mappare reparti, cantieri, turni e chiedersi: chi decide cosa si fa, come si fa e chi lo fa?Elenco dei potenziali preposti (di diritto e di fatto) su cui lavorare in modo strutturato.
    Designazione preposti di dirittoNomine a pioggia o assenza totale di nomine formali.Selezionare chi ha veri poteri di coordinamento; definire perimetro, linea di riporto e aspettative.Preposti di diritto chiari, con ambito definito e responsabilità comprensibili.
    Preposti di fattoFigure che coordinano di fatto, ma non sono riconosciute né formate.Applicare l’art. 299: riconoscere chi esercita già poteri da preposto e includerlo nel sistema HSE.Allineamento tra realtà operativa e organigramma della sicurezza.
    Designazioni e formazioneLettere generiche, corsi copia-incolla, ruolo non compreso.Aggiornare lettere di designazione; verificare e completare formazione specifica per preposti.Preposti consapevoli del ruolo, con formazione coerente agli obblighi dell’art. 19.
    Strumenti di vigilanzaPreposti nominati ma senza strumenti e modalità chiare di controllo.Definire check-list essenziali, canali di segnalazione, soglie per fermare le attività e coinvolgere i superiori.Vigilanza quotidiana strutturata e tracciabile su reparti, cantieri e squadre.
    Lavoro in solitarioAttività svolte da soli gestite “per abitudine”, senza regole né controlli.Valutare i rischi specifici; definire quando è ammesso; impostare contatti periodici e dispositivi di allarme.Lavoro in solitario regolato, con vigilanza organizzata e misure documentabili.
    “Preposto di se stesso” (mito)Scarico di responsabilità sul lavoratore (“si controlla da solo”).Individuare un preposto di riferimento; definire procedure e limiti operativi per il lavoro in solitario.Fine delle frasi vaghe; responsabilità e vigilanza riportate al livello aziendale corretto.
    Audit preposti e ruoli HSEQuadro generale confuso, criticità che emergono solo in caso di problemi.Programmare un audit mirato su preposti, ruoli HSE e lavoro in solitario (interno o con supporto esterno).Piano di adeguamento 30–60 giorni con priorità, azioni, responsabilità e tempistiche definite.

    Vuoi capire se i tuoi preposti sono davvero “coperti” o solo sulla carta?

    A questo punto, la domanda è semplice: dove ti riconosci?

    Se anche solo una delle frasi qui sotto ti suona familiare:

    • “Abbiamo i preposti nominati, ma non sono sicuro che abbiano chiaro cosa comporta il ruolo.”
    • “In pratica sono i capisquadra a decidere tutto, ma formalmente non abbiamo mai sistemato la parte preposti.”
    • “Abbiamo persone che lavorano da sole e non so se, così come siamo organizzati, ce lo possiamo permettere.”

    allora probabilmente è il momento di mettere mano al tema, non solo di parlarne.

    Cosa puoi fare subito

    Puoi richiedere un check mirato su preposti e lavoro in solitario nella tua azienda.

    Nel concreto, cosa succede:

    • facciamo una call di circa 30 minuti;
    • analizziamo come hai organizzato oggi:
      • i ruoli operativi e i preposti,
      • le situazioni di lavoro in solitaria;
    • ti restituisco dove vedo i buchi principali e quali sarebbero, in pratica, i primi passi sensati (audit specifico, intervento puntuale, formazione mirata, ecc.).

    Da lì, la scelta è tua:

    • puoi fermarti alla diagnosi e lavorare con le tue risorse interne,
    • oppure impostare un percorso di adeguamento strutturato su preposti e lavoro in solitario.

    L’obiettivo non è creare burocrazia in più, ma fare in modo che:

    • i tuoi preposti sappiano davvero che ruolo hanno,
    • il lavoro in solitario sia valutato, regolato e vigilato,
    • e tu possa dimostrare, in caso di controllo o problema, di aver fatto la tua parte in modo ragionato e documentato.

  • HSE Manager: cosa fa, come certificarsi UNI 11720 (2025), stipendio e carriera

    HSE Manager: cosa fa, come certificarsi UNI 11720 (2025), stipendio e carriera

    Nel panorama della gestione aziendale moderna, il ruolo dell’HSE Manager è diventato centrale per garantire la salute, la sicurezza sul lavoro e la sostenibilità ambientale. Dalle imprese manifatturiere ai grandi cantieri industriali, la figura dell’HSE Manager – acronimo di Health, Safety & Environment Manager – non è più un “plus”, ma un presidio strategico previsto da standard internazionali e richiesto dal mercato.

    Ma cosa fa esattamente un HSE Manager? Quali sono i suoi compiti concreti? E perché oggi è fondamentale certificarsi secondo la norma UNI 11720:2018 (e 2025) per essere riconosciuti come professionisti qualificati?

    In questo articolo analizzeremo in modo chiaro e pratico il ruolo del professionista HSE, presentando i riferimenti normativi, i framework applicabili nei cantieri e nelle aziende, e mostrando esempi reali per aiutare professionisti, imprenditori e datori di lavoro a orientarsi.

    Scoprirai anche:

    • Come ottenere la certificazione ufficiale da HSE Manager.
    • Quali strumenti e modelli puoi applicare da subito.
    • Le prospettive future del ruolo tra transizione ESG, digitalizzazione e project management.

    Se ti occupi di sicurezza sul lavoro, gestione ambientale o sistemi di gestione integrati, questa guida completa ti offrirà informazioni concrete, aggiornate e subito utilizzabili.


    INDICE DELL’ARTICOLO


    HSE Manager: cosa fa, come certificarsi UNI 11720

    Cosa fa un HSE Manager – Compiti e responsabilità

    Il ruolo dell’HSE Manager non si limita alla mera applicazione delle norme di sicurezza: è una figura strategica che guida l’organizzazione verso la conformità normativa, l’efficienza operativa e la sostenibilità a lungo termine. Il suo lavoro incide su tre ambiti fondamentali: salute (Health), sicurezza (Safety) e ambiente (Environment).

    Compiti principali dell’HSE Manager

    In base alla norma UNI 11720:2018, integrata con i più recenti aggiornamenti e le prassi consolidate sul campo, i principali compiti dell’HSE Manager includono:

    • Valutazione dei rischi: analisi sistematica dei rischi per la salute e la sicurezza, sia per lavoratori diretti che indiretti (es. subappalti).
    • Gestione documentale: redazione, aggiornamento e controllo di DVR, POS, DUVRI, piani di emergenza e tutta la documentazione HSE obbligatoria e volontaria.
    • Pianificazione delle misure di prevenzione: scelta e attuazione di soluzioni tecniche e organizzative per ridurre i rischi.
    • Coordinamento operativo: supervisione delle attività critiche (spazi confinati, lavori in quota, scavi, movimentazione carichi, impianti chimici).
    • Formazione e cultura HSE: pianificazione e gestione dei percorsi formativi obbligatori e volontari, con focus sulla cultura del comportamento sicuro.
    • Gestione ambientale: controllo delle emissioni, dei rifiuti, delle autorizzazioni ambientali (AUA, AIA), rispetto al D.Lgs. 152/06.
    • Monitoraggio e miglioramento continuo: utilizzo di KPI, audit interni, indagini incidenti/infortuni e azioni correttive (ciclo PDCA).
    • Supporto alla direzione: consulenza su investimenti in sicurezza, scelte di design impiantistico, transizione ESG e compliance normativa.

    HSE Manager vs RSPP: differenze fondamentali

    Una domanda comune è: l’HSE Manager è il nuovo RSPP? La risposta è no: il RSPP è una figura obbligatoria nominata dal datore di lavoro (ex art. 17 e 33 del D.Lgs. 81/08), mentre l’HSE Manager è un ruolo manageriale, spesso trasversale ai reparti, che integra sicurezza, ambiente e salute in una logica di sistema.

    L’HSE Manager può anche ricoprire il ruolo di RSPP, ma le sue responsabilità si estendono anche a:

    • Gestione ambientale e sostenibilità.
    • Strategie aziendali HSE.
    • Coordinamento multi-sito o multi-appalto.
    • Gestione dati, reportistica e relazioni esterne (enti, clienti, stakeholder).
    RSPPHSE Manager
    Obbligatorio per leggeRuolo volontario/strategico aziendale
    Focus su sicurezzaIntegrazione HSE + ESG
    Nomina del DdLInserito nel management
    Non sempre ha budgetCoinvolto in budget, investimenti, HR

    HSE Manager e Specialista HSE: i due profili della UNI 11720

    La norma UNI 11720:2018 – attualmente in fase di aggiornamento per il 2025 – individua due figure professionali certificate nel mondo HSE:

    • HSE Manager: il professionista con responsabilità di governance e indirizzo. Definisce le politiche aziendali in materia di salute, sicurezza e ambiente, integra i sistemi di gestione (ISO 45001, ISO 14001, ISO 9001), supporta la direzione nel processo decisionale e monitora il raggiungimento degli obiettivi strategici.
    • Specialista HSE: la figura tecnica-operativa che traduce le politiche in azioni concrete. È coinvolto nella gestione quotidiana delle attività, nei controlli in campo, nella redazione documentale e nella gestione delle emergenze, portando sul piano operativo le strategie definite dal Manager.

    Entrambi i ruoli si basano su competenze trasversali in ambito tecnico, normativo, gestionale e relazionale. La certificazione secondo UNI 11720 rappresenta oggi uno strumento sempre più rilevante per qualificarsi sul mercato e rafforzare la credibilità professionale, soprattutto in contesti di bandi pubblici, subappalti e appalti complessi.

    Certificazione HSE Manager: guida completa alla norma UNI 11720 e aggiornamenti 2025

    Ottenere la certificazione secondo la norma UNI 11720:2025 è oggi un passaggio strategico per chi lavora professionalmente nei campi di salute, sicurezza e ambiente. La certificazione riconosce ufficialmente le competenze del professionista HSE, distinguendo due profili: HSE Manager e HSE Specialist.

    La UNI 11720 è la norma italiana di riferimento che, in conformità alla ISO 17024, permette a un ente terzo accreditato di validare le abilità e le conoscenze di chi gestisce attività HSE in imprese, cantieri e organizzazioni complesse. Con l’aggiornamento 2025, il quadro si arricchisce ulteriormente con l’integrazione di ESG, digitalizzazione e responsabilità sociale.

    Cos’è la UNI 11720 e perché è importante per chi lavora nell’HSE

    La UNI 11720 definisce i requisiti di conoscenza, abilità e competenza del professionista HSE, fornendo:

    • una base condivisa per certificare le competenze di HSE Manager e HSE Specialist;
    • un riconoscimento spendibile presso enti pubblici, aziende private e organismi internazionali;
    • un requisito sempre più frequente in bandi pubblici, gare d’appalto e sistemi di gestione certificati (ISO 45001, ISO 14001, ISO 9001).

    La certificazione garantisce che il professionista non solo conosca le normative, ma sia in grado di applicarle in contesti reali e complessi, con esperienza, autorevolezza e visione sistemica..

    HSE Manager certificato: quali sono le competenze richieste?

    Chi vuole ottenere la certificazione secondo la UNI 11720 deve dimostrare competenze in quattro aree chiave, tutte rilevanti per il profilo professionale:

    1. Competenze tecnico-normative

    • Applicazione del D.Lgs. 81/08, 152/06, 231/01
    • Sistemi di gestione integrata ISO 45001, ISO 14001, ISO 9001

    2. Competenze gestionali

    • Capacità di pianificazione e implementazione di piani HSE
    • Utilizzo di KPI, PDCA, BBS, analisi incidenti e near-miss

    3. Competenze relazionali e comunicative

    • Coordinamento di team, preposti, subappalti e stakeholder
    • Formazione, auditing, cultura della sicurezza

    4. Competenze trasversali

    • Gestione del cambiamento, ESG, innovazione, digitalizzazione

    I Requisiti del professionista HSE: Esperienza Lavorativa

    La UNI 11720:2025 stabilisce i requisiti minimi per accedere al processo di valutazione di conformità sia per lo Specialista HSE che per il Manager HSE.

    In base al titolo di studio, i requisiti di esperienza sono i seguenti:

    Formazione di baseEsperienza lavorativa Specialista HSEEsperienza lavorativa Manager HSE
    Laurea magistraleAlmeno 2 anni in ambito HSE, di cui almeno 2 in incarichi specialisticiAlmeno 8 anni in ambito HSE, di cui almeno 4 in incarichi manageriali
    LaureaAlmeno 3 anni in ambito HSE, di cui almeno 2 in incarichi specialisticiAlmeno 10 anni in ambito HSE, di cui almeno 5 in incarichi manageriali
    Diploma di scuola secondaria di secondo gradoAlmeno 4 anni in ambito HSE, di cui almeno 3 in incarichi specialisticiAlmeno 12 anni in ambito HSE, di cui almeno 6 in incarichi manageriali
    Diploma di scuola secondaria di primo gradoAlmeno 5 anni in ambito HSE, di cui almeno 4 in incarichi specialisticiAlmeno 15 anni in ambito HSE, di cui almeno 8 in incarichi manageriali

    La formazione specifica

    La norma richiede anche una formazione certificata in materie HSE, con attestato rilasciato da enti formatori riconosciuti.

    • Specialista HSE: almeno 40 ore
    • Manager HSE: almeno 120 ore

    Queste ore vanno ripartite nelle seguenti aree tematiche:

    Aree di formazione HSESpecialista HSE (40 ore)Manager HSE (120 ore)
    Area governance-gestionale840
    Area compliance-amministrativa40
    Area salute e sicurezza1620
    Area ambiente1620

    Norma UNI 11720: Le versioni 2018 e 2025 a confronto

    L’aggiornamento 2025 segna un passaggio netto:

    AspettoUNI 11720:2018UNI 11720:2025
    Figure professionaliManager HSE (Strategico e Operativo)Professionista HSE (Specialista e Manager)

    Esperienza lavorativa – Specialista HSE (ex Manager HSE Operativo)

    Formazione di base2018 – Manager HSE Operativo2025 – Specialista HSE
    Laurea magistrale8 anni in HSE (≥2 in incarichi manageriali)2 anni in HSE (≥2 in incarichi specialistici)
    Laurea10 anni in HSE (≥2 in incarichi manageriali)3 anni in HSE (≥2 in incarichi specialistici)
    Diploma II grado16 anni in HSE (≥2 in incarichi manageriali)4 anni in HSE (≥3 in incarichi specialistici)
    Diploma I grado20 anni in HSE (≥2 in incarichi manageriali)5 anni in HSE (≥4 in incarichi specialistici)

    Esperienza lavorativa – Manager HSE (ex Manager HSE Strategico)

    Formazione di base2018 – Manager HSE Strategico2025 – Manager HSE
    Laurea magistrale10 anni in HSE (≥6 in incarichi manageriali)8 anni in HSE (≥4 in incarichi manageriali)
    Laurea12 anni in HSE (≥6 in incarichi manageriali)10 anni in HSE (≥5 in incarichi manageriali)
    Diploma II grado18 anni in HSE (≥6 in incarichi manageriali)12 anni in HSE (≥6 in incarichi manageriali)
    Diploma I grado22 anni in HSE (≥6 in incarichi manageriali)15 anni in HSE (≥8 in incarichi manageriali)

    Differenze chiave sulla formazione

    Area di formazione2018 – Manager Operativo (400 h)2025 – Specialista HSE (40 h)2018 – Manager Strategico (400 h)2025 – Manager HSE (120 h)
    Governance-gestionale48812840
    Compliance-amministrativa323240
    Salute e sicurezza96+961664+6420
    Ambiente1281611220
    Totale ore40040400120

    Come ottenere la certificazione HSE (UNI 11720:2025)

    Step 1 – Verifica dei requisiti minimi (vedi tabella)

    • Profilo: scegli tra HSE Specialist o HSE Manager.
    • Titoli + esperienza: l’esperienza minima dipende dal titolo di studio e dal profilo scelto (ordine di grandezza: 2–5 anni per lo Specialist8–15 anni per il Manager). Verifica il tuo caso sulla tabella ufficiale dell’OdC.
    • Formazione specifica: minimo 40 ore (Specialist) o 120 ore (Manager) ripartite in 4 aree: governance-gestionale, compliance-amministrativa, salute e sicurezza, ambiente.

    Step 2 – Esame (schema Accredia 2025)

    • Prova scritta a risposta multipla45 domande90 minuti, “closed book”.
    • Prova scritta a risposta aperta1 caso di studio per profilo.
    • Accesso all’orale: serve almeno 70% in entrambe le prove scritte; le prove superate restano valide 12 mesi.
    • Colloquio orale con commissione.

    Step 3 – Mantenimento

    • Validità tipicamente triennale con rinnovo: richieste evidenze di aggiornamento continuo (CPD) e di attività svolte nel ruolo, secondo i regolamenti dell’OdC in conformità a ISO/IEC 17024. Esempio: regolamento ICMQ prevede durata 3 anni. Inoltre, dal 28 febbraio 2026 tutti gli OdC applicano i requisiti 2025 anche ai mantenimenti/rinnovi. ICMQ+1

    Perché certificarsi come HSE Manager?

    Per i professionisti

    • Riconoscimento ufficiale delle competenze secondo norma UNI 11720:2025 sotto accreditamento ISO/IEC 17024.
    • Maggiore spendibilità sul mercato e nei bandi/gare quando la certificazione è rilasciata da OdC accreditati.
    • Posizionamento chiaro rispetto ai profili non certificati.

    Per le aziende

    • Accesso facilitato a commesse con requisiti HSE avanzati.
    • Migliore governance dei rischi e integrazione con i sistemi ISO 45001/14001/9001.
    • Supporto alla rendicontazione (es. ESG) grazie alle nuove aree/tematiche inserite nel 2025.

    Stipendio HSE Manager e carriera: quanto guadagna davvero e quali sono gli sbocchi professionali?

    Una delle domande più frequenti tra i professionisti del settore è: “Quanto guadagna un HSE Manager in Italia?”

    La risposta, come spesso accade, dipende da diversi fattori: inquadramento, settore di appartenenza, dimensioni aziendali, area geografica, certificazioni (es. UNI 11720), esperienza nel ruolo, capacità di leadership e gestione di team multisito.

    Questa sezione analizza:

    • Gli stipendi medi di un HSE Manager in Italia aggiornati al 2025
    • I fattori che influenzano la retribuzione
    • I percorsi di carriera più comuni e le opportunità di crescita

    Stipendio HSE Manager in Italia (dati aggiornati 2025)

    ProfiloRAL media annuaContesto
    HSE Specialist junior28.000 – 35.000 €Stage, apprendistato, impiegato tecnico
    HSE Manager operativo (1-5 anni)40.000 – 55.000 €Aziende medio-piccole, cantieri monocommessa
    HSE Manager strategico (>5 anni)60.000 – 80.000 €Grandi industrie, EPC contractor
    Corporate HSE Manager85.000 – 110.000 €+ bonusGruppi multinazionali, multi-site governance
    HSE Director / ESG Officer> 120.000 € + variabiliCDA, governance integrata

    Fonte: elaborazione su dati Randstad, Glassdoor, Hays Salary Guide 2025, JobPricing, analisi PMI italiane e posizioni aperte LinkedIn.

    Nota: lo stipendio dell’HSE Manager è spesso sottostimato nei primi anni di carriera, ma cresce in modo esponenziale al crescere della responsabilità e della capacità di presidiare più ambiti (es. HSE + ESG + qualità + impianti).

    Fattori che influenzano lo stipendio di un HSE Manager

    1. Certificazione professionale

    Ottenere la certificazione UNI 11720 rappresenta un elemento di distinzione formale che impatta sulla RAL. Le aziende lo considerano un plus in sede di selezione e promozione.

    2. Tipo di contratto applicato

    • Metalmeccanico industria (RAL medio più alto)
    • Edilizia (forti differenze Nord-Sud)
    • Energia / Oil&Gas (maggiorazione per rischi specifici)
    • Servizi ambientali / sanità (RAL più basse)

    3. Competenze trasversali

    Chi integra competenze in project management, sistemi integrati, comunicazione interna e gestione risorse è spesso candidato a ruoli direttivi o interfunzionali (es. QHSE Manager, ESG Officer, CSR Leader).

    4. Area geografica

    Gli stipendi di un HSE Manager a Milano, Torino, Bologna o in contesti industriali del Nord-Est sono più alti del 20–30% rispetto alla media del Sud Italia, ma anche il costo della vita va considerato.

    Percorsi di carriera: da HSE a ESG Officer

    Il ruolo dell’HSE Manager è oggi una vera e propria carriera manageriale, con step chiari e possibilità di crescita sia verticale che orizzontale:

    Percorso verticale (gerarchico):

    • HSE Assistant / Junior Specialist
    • HSE Specialist / Site HSE
    • HSE Manager di commessa / impianto
    • HSE Manager corporate
    • HSE Director / Group HSE Leader

    Percorso orizzontale (trasversale):

    • QHSE Manager (integra qualità, sicurezza e ambiente)
    • Responsabile ESG / Sostenibilità
    • Coordinatore impianti e manutenzione
    • Responsabile compliance normativa / Modello 231

    Sempre più spesso, le figure HSE sono incluse nei piani industriali e strategici delle aziende, con ruoli chiave nei CdA, negli audit ESG, e nella redazione del bilancio di sostenibilità.

    Percorso di carriera HSE Manager: sviluppo verticale e orizzontale fino a ruoli ESG e sostenibilità

    Come aumentare il proprio valore sul mercato come HSE Manager

    Ecco alcune azioni concrete per migliorare il proprio posizionamento professionale nel settore HSE:

    AzioneImpatto SEO e carriera
    Ottenere la certificazione UNI 11720Visibilità, validazione formale, miglior contratto di assunzione
    Acquisire skill in project management Ruolo trasversale, gestione progetti HSE complessi
    Pubblicare su LinkedIn esperienze reali HSEBranding, networking, personal reputation
    Partecipare a corsi ESG / sostenibilità aziendaleEvoluzione del ruolo verso responsabilità strategiche
    Gestire team o più cantieriAccesso a posizioni di middle/top management

    Il futuro dell’HSE Manager tra digitalizzazione, sostenibilità e intelligenza artificiale

    Il ruolo dell’HSE Manager sta evolvendo profondamente. Se in passato la sua figura era legata alla conformità normativa e alla gestione operativa della sicurezza, oggi il mercato richiede competenze più ampie, trasversali e digitali.

    Le imprese che operano in settori complessi – come industria, energia, costruzioni, farmaceutico, logistica – si aspettano che l’HSE Manager sappia governare la complessità e anticipare i rischi, integrando tematiche ambientali, sociali e di governance (ESG), strumenti digitali e nuove tecnologie.

    Dalla compliance alla strategia: il nuovo posizionamento dell’HSE Manager

    La crescente attenzione a:

    • Sostenibilità ambientale (carbon footprint, ciclo di vita, economia circolare)
    • Responsabilità sociale e benessere dei lavoratori
    • Corporate governance, trasparenza e accountability

    ha trasformato l’HSE Manager in un attore chiave dei processi decisionali aziendali.
    Non è più solo un gestore di adempimenti, ma un partner della direzione nel definire obiettivi sostenibili e misurabili.

    Digitalizzazione HSE: tecnologie e strumenti che stanno cambiando tutto

    L’adozione di strumenti digitali HSE è in piena espansione. Le aziende stanno migrando da sistemi cartacei a piattaforme integrate che permettono di:

    Tecnologia HSEFunzione
    Software HSE ManagementGestione documentale, scadenziari, registri DPI, audit digitali
    Power BI / TableauDashboard KPI, indicatori dinamici, trend infortuni e near miss
    Moduli Microsoft 365Check-list via Forms, App mobile per segnalazioni
    Realtà aumentata / VRFormazione immersiva sulla sicurezza in ambienti simulati

    Intelligenza artificiale e HSE: cosa sta già succedendo

    L’intelligenza artificiale applicata alla sicurezza sul lavoro non è più fantascienza. Alcuni use case già attivi includono:

    • Predictive analytics: modelli predittivi che identificano probabilità di incidenti tramite analisi di dati storici e comportamentali
    • Visione artificiale + IoT: telecamere e sensori per rilevare situazioni a rischio (es. mancato uso DPI, intrusioni in zone vietate)
    • Chatbot HSE: assistenti digitali che rispondono a dubbi su normative, procedure, uso DPI

    L’AI non sostituisce il professionista HSE, ma ne amplifica la capacità di prevenzione e reazione, rendendo le decisioni più informate, rapide e basate su dati reali.

    ESG e sostenibilità: verso il nuovo HSE Manager integrato

    Le aziende oggi redigono bilanci di sostenibilità, calcolano impronta carbonica, gestiscono catene di fornitura sostenibili. Il nuovo HSE Manager è chiamato a contribuire attivamente, portando il suo know-how nella gestione di:

    • Indicatori ESG (Environmental, Social, Governance)
    • Processi di valutazione impatto ambientale (EIA)
    • Audit interni in ottica SA8000, ISO 14001 e UNI/PdR 87:2020
    • Report non finanziari (CSRD, GRI, ESRS)

    Risultato: un profilo che evolve in QHSE Manager o ESG Officer, con nuove competenze e maggiore impatto strategico.

    Verso l’HSE Manager 5.0: competenze del futuro

    Ecco le skill che diventeranno fondamentali per l’HSE Manager entro il 2030:

    Soft & Hard Skills richiesteMotivo
    Digital literacyUso software, KPI, strumenti analitici
    ESG knowledgeIntegrazione sostenibilità e governance nel piano HSE
    Project managementGestione commesse, risorse, stakeholder in logica PMBOK
    AI & data analysisLettura predittiva, trend analysis, modelli di rischio avanzati
    Leadership e change managementGuida del cambiamento culturale e comportamentale
    Comunicazione trasversaleInterfaccia efficace tra direzione, HR, produzione e autorità esterne
    Evoluzione del ruolo HSE Manager verso ESG e digitale

    Il futuro dell’HSE Manager si gioca oggi.
    Se vuoi guidare la trasformazione digitale e sostenibile della tua azienda, inizia aggiornando le tue competenze e certificandoti con un profilo evoluto.

    Scarica il PDF gratuito con la checklist per la verifica dei requisiti

    FAQ

    Cos’è la UNI 11720:2025? È la norma italiana che definisce requisiti di competenza per HSE Specialist e HSE Manager, certificabili da organismi accreditati ISO/IEC 17024.
    Qual è la differenza tra HSE Manager e RSPP? RSPP è figura obbligatoria ex D.Lgs. 81/08; l’HSE Manager governa HSE a livello gestionale/strategico e può anche ricoprire l’incarico di RSPP.
    Quante ore di formazione servono? Almeno 40 ore per lo HSE Specialist e 120 ore per l’HSE Manager, distribuite su governance, compliance, salute e sicurezza, ambiente.
    Come si svolge l’esame? Test a risposta multipla, caso di studio scritto e colloquio. Soglie e dettagli secondo regolamenti dell’OdC accreditato.
    Quanto dura la certificazione? Tipicamente 3 anni, con mantenimento tramite formazione continua (CPD) ed evidenze del ruolo.
    UNI – Ente Italiano di Normazione
    UNI 11720: certificazione HSE Manager e Specialist
    Accredia – accreditamento certificazioni UNI e ISO
    Ispettorato Nazionale del Lavoro – sicurezza sul lavoro
    INAIL – prevenzione e linee guida sicurezza
    Normativa europea su sicurezza ed ESG (EUR-Lex)
    ISO 45001 – sistema gestione salute e sicurezza
    ISO 14001 – gestione ambientale certificata
    ISO 9001 – gestione della qualità
    AiFOS – formazione sicurezza sul lavoro
    Analisi professionisti HSE UNI 11720 – Vega Engineering